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Il “Made in Italy”: la normativa di riferimento

La normativa del Made in Italy ha il difficile compito di bilanciare due esigenze contrapposte. Le multinazionali e le imprese che tendono a delocalizzare la produzione all’estero per ridurne i costi non vedono di buon occhio una disciplina eccessivamente rigorosa del marchio di origine. Diversamente, le imprese che mantengono la produzione in Italia hanno interesse a vedere valorizzati i maggiori costi sostenuti con la possibilità di apporre sui prodotti un marchio che è storicamente sinonimo di qualità.

La normativa nazionale del “Made in Italy” deve inoltre scontrarsi con quella comunitaria, orientata principalmente a valorizzare il mercato unico ed il principio di libera circolazione delle merci.

“Made in Italy”: normativa internazionale

Sul piano internazionale, l’Italia aderisce all’Accordo di Madrid del 1981. Quest’ultimo sancisce l’obbligo di “indicazione precisa ed in caratteri evidenti del paese o del luogo di fabbricazione o di produzione.

Nel recepire questo accordo internazionale nell’ordinamento italiano, il D.P.R. n. 656/1958 si è limitato ad introdurre il fermo amministrativo a cura degli uffici doganali delle merci per le quali vi sia il fondato sospetto che rechino una falsa o fallace indicazione di provenienza.

In sostanza, mentre la normativa internazionale sembra imporre l’obbligo di fornire al consumatore l’indicazione dell’origine del prodotto, le norme di recepimento interne si limitano a vietare inganni mediante indicazioni false o fallaci sulla provenienza.

“Made in Italy”: normativa comunitaria

Il “Made in” di un prodotto viene comunemente definito marchio di origine. Il concetto di origine non deve essere confuso con quello di provenienza di un bene. Quest’ultima indica il luogo da cui un bene viene spedito, mentre l’origine indica il luogo di produzione.

L’apposizione del marchio d’origine “Made in Italy” dovrebbe dunque significare che un bene è stato prodotto in Italia. Purtroppo per il valore del nostro “Made in”, questo è vero solo in parte e spesso anche prodotti forgiati quasi interamente all’estero possono apporre il marchio “Made in Italy”.

Per determinare il Paese di origine di un prodotto, occorre riferirsi alla normativa europea in materia di origine non preferenziale del prodotto. Per determinare l’origine doganale non preferenziale di un prodotto possono applicarsi i due seguenti criteri, contenuti all’art. 60 del Codice Doganale dell’Unione.

1) Criterio delle merci interamente ottenute

Questo criterio è applicabile soltanto quando l’intero processo di lavorazione è avvenuto in un unico Stato. L’art. 60 del CDU stabilisce: le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio.

2) Criterio dell’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale

Per le merci alla cui produzione abbiano collaborato due o più Paesi, occorre applicare il criterio stabilito dal secondo comma dell’art. 60 CDU: “Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione“.

La Corte di Giustizia Europea ha tentato di precisare questo concetto nella sentenza del 26 Gennaio 1977 C-49/76. L’ultima trasformazione sostanziale “si verifica solamente nell’ipotesi in cui il prodotto che ne risulta abbia composizione e proprietà specifiche che non possedeva prima di essere sottoposto a tale trasformazione o lavorazione“.

Nonostante i tentativi di chiarimento, permangono numerose incertezze circa la possibilità di individuare l’ultima trasformazione e le lavorazioni sufficienti a determinare il marchio di origine. Ciò anche perché la normativa da tenere in considerazione non si limita al Codice Doganale dell’Unione. Vi sono infatti numerosi accordi bilaterali o multilaterali in materia di origine, i cui criteri prevalgono su quelli generali sopra descritti.

Per ovviare a questa incertezza, uno strumento utile è quello dell’Informazione Vincolante in materia di Origine (I.V.O.).

Informazione Vincolante in materia di Origine (I.V.O.) 

L’I.V.O. è uno strumento che consente ad un imprenditore di domandare all’Agenzia delle Dogane di dichiarare l’origine di un prodotto. Una volta rilasciata l’Informazione, questa risulterà vincolante per la Dogana, tanto in fase di importazione che di esportazione, precludendo successive contestazioni.

Per attivare questa procedura, occorre presentare un’istanza all’Agenzia delle Dogane. In essa deve essere contenuta la descrizione della merce, la specificazione dell’origine delle materie di cui è composta, il luogo delle lavorazioni ed altre informazioni rilevanti.

“Made in Italy”: normativa nazionale

Il D.L. n. 35/05, convertito nella Legge n. 80/05 ha rafforzato la tutela giuridica del marchio “Made in Italy”.

Il pregio maggiore di questa normativa consiste nell’aver esteso le sanzioni contenute nella Legge Finanziaria del 2004, che si limitava alle “false e fallaci indicazioni di provenienza“, anche alle indicazioni di origine.

L’uso improprio del marchio “Made in Italy” è sanzionato penalmente dall’art. 517 c.p., il quale stabilisce: “Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro“.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2648/06, ha ritenuto che la dicitura “designed & produced by Alfa srl Rovereto Italy” su prodotti provenienti dalla Moldavia fosse idonea a trarre in inganno il consumatore circa l’origine e la provenienza del prodotto.

“100% Made in Italy”: la normativa introdotta dal D.L. 135/09

Nel 2009, il legislatore italiano ha introdotto con la Legge n. 99/09 l’obbligo di indicazione precisa e con caratteri evidenti del luogo di origine di un prodotto. Questa norma segnava un notevole passo in avanti in materia di protezione del marchio di origine ma è rimasta in vigore soltanto pochi giorni.

Il D.L. 135/09, convertito nella Legge n. 166/09, ha abrogato la suddetta disposizione ed introdotto l’art. 49-bis nella Legge Finanziaria del 2004. Con esso si è precisato che costituisce fallace indicazione l’uso del marchio con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana, a meno che questo non sia accompagnato da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera del prodotto.

La Legge n. 166/09 ha però avuto il pregio di introdurre un nuovo marchio di origine: il “100% Made in Italy”. Ciò a vantaggio delle imprese che hanno mantenuto la produzione sul territorio italiano e non sono ricorse alla delocalizzazione.

Possono considerarsi interamente italiani soltanto i prodotti per i quali il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono avvenuti esclusivamente sul territorio italiano. Soltanto questi prodotti potranno fregiarsi di diciture quali “100% Made in Italy”, “100% Italia” “tutto italiano” o simili.

Con ciò viene introdotta una figura qualificata di marchio d’origine che si distingue dal semplice “Made in Italy”. Mentre di quest’ultimo possono fregiarsi tutti i prodotti per i quali sia avvenuta in Italia l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, il “100% Made in Italy” è riservato alle produzioni interamente italiane.

La Legge n. 55 del 2010

Nel 2010 è stata approvata dal nostro Parlamento la legge c.d. Reguzzoni-Versace-Calearo. Questa legge prevede per il “Made in Italy” una normativa particolare nei settori tessile, della pelletteria, calzaturiero, dei divani e dei prodotti conciari.

Per ogni settore merceologico di riferimento, vengono individuate dalla legge le specifiche fasi di lavorazione. Ad esempio, nel settore della pelletteria si distinguono: la concia, il taglio, la preparazione, l’assemblaggio e la rifinizione.

La legge prevede che, nei settori individuati, possano fregiarsi del “Made in Italy” i prodotti per i quali le fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente sul territorio italiano e, in particolare, se almeno due fasi di lavorazione si sono svolte in Italia.

Non mi soffermerò ulteriormente ad analizzare i problemi interpretativi sollevati da questa legge e le ipotesi di contrasto con la normativa comunitaria. Ciò in quanto, nonostante questa legge sia formalmente in vigore in Italia dal 2010, essa non è concretamente applicabile. Il Parlamento Europeo ha infatti espresso parere negativo sui decreti attuativi.

Sviluppi futuri e conclusioni

Nel 2014 il Parlamento Europeo ha approvato una proposta di normativa che introdurrà l’obbligo di indicare il “Made in” anche per i prodotti fabbricati in Europa.

I produttori dovranno indicare il Paese d’origine sull’imballaggio o documento di accompagnamento o sul prodotto stesso. Essi avranno la facoltà di utilizzare la dicitura “Made in EU” oppure indicare il nome dello specifico Paese di origine.

Alla luce di quanto sopra esposto, è evidente come la complessità della normativa applicabile al “Made in Italy” non favorisca quegli imprenditori che intendono fare del marchio Italia un sinonimo di qualità. L’augurio è quello di una semplificazione e di una maggiore trasparenza e tutela del marchio di origine, a vantaggio dei consumatori ma anche e soprattutto di quelle piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto industriale del nostro Paese e che intendono mantenere o riportare la loro produzione sul territorio nazionale.

 

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