Marchio Collettivo e di Certificazione dopo il D.Lgs. 15/2019

marchio collettivo
Massimo Bacci

Scritto da Massimo Bacci

Avvocato esperto in materia di proprietà intellettuale, diritto delle nuove tecnologie e protezione dei dati.

15 Dicembre 2019

Marchio Collettivo e Marchio di Certificazione dopo il D.Lgs. n. 15 del 2019

Il marchio collettivo esisteva già da tempo in Italia, contrapposto soltanto al marchio individuale d’impresa. In altri ordinamenti invece vige storicamente la distinzione fra marchi collettivi e marchi di certificazione. I primi volti a distinguere i prodotti appartenenti ad un gruppo omogeneo di imprese, rappresentate da un’associazione di categoria o da un consorzio. I secondi volti a certificare il rispetto di standard o qualità dei prodotti forniti dagli utilizzatori del marchio.

La distinzione fra marchio collettivo e marchio di certificazione è stata introdotta a livello europeo dal Reg. UE 2015/2424 (oggi sostituito dal Reg. UE 2017/1001, detto anche RMUE) ed è effettiva dal 1 Ottobre 2017. In Italia invece la distinzione è stata recepita con il D. Lgs. 15/2019, in attuazione della Direttiva Europea 2015/2436 ed è effettiva dal 23 Marzo 2019. Conseguentemente, tutti coloro che in passato avevano registrato un marchio collettivo italiano, dovranno comunicarne la conversione in nuovo marchio collettivo o marchio di certificazione entro il 22 Marzo 2019, a pena di decadenza.

Il marchio di certificazione è pertanto una categoria nuova, sia per il diritto comunitario che per l’ordinamento italiano. Tuttavia, permangono alcune differenze fra la disciplina nazionale e quella europea, che verranno analizzate nei capitoli successivi.

I marchi collettivi e di certificazione non devono comunque essere confusi con le indicazioni geografiche, di cui ho parlato nell’articolo “DOP e IGP: la Protezione delle Indicazioni Geografiche“.

Il marchio collettivo in Italia e in Europa

La disciplina del marchio collettivo in Italia è contenuta nell’art. 11 c.p.i., come modificato dal D.Lgs. 15/2019. Prima dell’ultima riforma, il marchio collettivo in Italia aveva la funzione di garantire al pubblico il rispetto di standard qualitativi o di provenienza geografica da parte dei prodotti o servizi contrassegnati. Adesso questa funzione è almeno in parte passata al marchio di certificazione. Diversamente, la funzione del marchio collettivo è oggi quella di precisare l’origine commerciale di determinati prodotti o servizi, informando il consumatore del fatto che il fabbricante dei prodotti o il fornitore di servizi appartiene a una specifica associazione e ha il diritto di utilizzare il marchio.

A differenza di quanto diremo per il marchio di certificazione, la disciplina del nuovo marchio collettivo italiano e di quello europeo coincidono sostanzialmente. In entrambi i casi, il marchio può essere utilizzato anche per designare l’origine geografica di un prodotto. Mentre il marchio italiano si registra presso l’Ufficio Italiano Marchi e Brevetti (UIBM), il marchio collettivo europeo si registra presso la EUIPO ed è valido in tutti i Paesi Membri dell’Unione Europea.

I soggetti legittimati a registrare un marchio collettivo

Sono legittimati a chiedere la registrazione di un marchio collettivo le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria (compresi i consorzi) di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi e commercianti. Non possono invece registrare un marchio collettivo le società di capitali. Il titolare del marchio dunque non è chi lo utilizza in concreto, bensì chi assicura il rispetto delle condizioni per il suo utilizzo da parte dei membri dell’associazione.

Il regolamento del marchio collettivo

Per ottenere la registrazione di un marchio collettivo, sia europeo che italiano, occorre il deposito di un regolamento, che disciplini le condizioni di appartenenza all’associazione e, solo eventualmente, le condizioni di utilizzo del marchio. Il regolamento può imporre agli utilizzatori del marchio determinate limitazioni, relative ad esempio alla collocazione del marchio, alla dimensione, alle modalità pubblicitarie etc.

Se il marchio descrive la provenienza geografica di un prodotto o servizio, il regolamento deve prevedere il c.d. “principio della porta aperta“. Deve infatti essere consentita la partecipazione all’associazione a tutte le imprese appartenenti alla medesima zona geografica.

Il marchio di certificazione in Italia e in Europa

Il marchio di certificazione, come anticipato nelle premesse, rappresenta una novità sia per l’ordinamento comunitario che per quello italiano, mentre era già conosciuto in altri ordinamenti. A livello europeo, il marchio di certificazione è disciplinato all’art. 83, par. 1 RMUE, mentre quello italiano è disciplinato all’art. 11 bis c.p.i., introdotto dal D.Lgs. 15/2019.

La funzione del marchio di certificazione è appunto quella di certificare determinate caratteristiche (ad esempio di qualità) dei prodotti e servizi contrassegnati. Il Regolamento Marchi dell’Unione Europea descrive i marchi di certificazione come segni idonei a certificare i prodotti o i servizi in relazione al materiale, al procedimento di fabbricazione dei prodotti o alla prestazione del servizio, alla qualità, alla precisione o ad altre caratteristiche, a eccezione della provenienza geografica.

Questa definizione coincide solo in parte con quella adottata dall’art. 11 bis del Codice della Proprietà Industriale italiano. Infatti, a differenza del marchio comunitario, il marchio di certificazione italiano può essere utilizzato anche per indicare l’origine geografica di un prodotto o servizio, seppur non disgiunta dalla certificazione di altre caratteristiche.

I soggetti legittimati a registrare un marchio di certificazione

A differenza del marchio collettivo, può registrare un marchio di certificazione qualsiasi persona fisica o giuridica, purché non svolga un’attività che comporti la fornitura di prodotti o servizi del tipo certificato. Il titolare di un marchio di certificazione deve quindi rispettare il principio di neutralità. Esso è il soggetto che verifica il rispetto dei requisiti per l’utilizzo del marchio ma non può esserne a sua volta un utilizzatore.

Il regolamento del marchio di certificazione

Assieme al deposito di un marchio di certificazione deve essere allegato il relativo regolamento. Il regolamento costituisce l’essenza del marchio di certificazione ed è ancora più importante rispetto a quello del marchio collettivo. Esso infatti definisce le caratteristiche dei prodotti o servizi che il marchio è finalizzato a certificare e dunque i requisiti che è necessario rispettare per poterlo utilizzare.

In particolare, il regolamento deve contenere:

  • la dichiarazione in cui il richiedente afferma di non svolgere alcuna attività che comporti la fornitura di prodotti o servizi del tipo certificato;
  • le caratteristiche dei prodotti o servizi da certificare;
  • le condizioni d’uso del marchio di certificazione;
  • le modalità di verifica e di sorveglianza applicate dal titolare del marchio di certificazione.

Il titolare del marchio deve verificare il rispetto del regolamento da parte di coloro che lo utilizzano. Se non lo fa, il marchio decade.

A differenza del marchio collettivo, non è espressamente previsto il requisito della “porta aperta”. Tuttavia, si ritiene che l’adesione al marchio di certificazione non possa essere vietata alle imprese che dimostrano il rispetto del regolamento. Diversamente, si creerebbe un effetto discriminatorio e limitativo della concorrenza.

Il carattere distintivo nei marchi collettivi e di certificazione ed alcune limitazioni

Il requisito del carattere distintivo, essenziale per poter registrare un marchio individuale, è fortemente attenuato nei marchi collettivi ed in quelli di certificazione. In entrambi i casi, l’art. 13 c.p.i. può essere derogato, permettendo l’utilizzo anche di segni volti a designare la provenienza geografica di un prodotto o servizio. Si ritiene inoltre possibile l’utilizzo anche di segni generici e descrittivi delle caratteristiche dei prodotti o servizi.

Per far sì che ciò non si traduca in una limitazione della concorrenza per le altre imprese, a questi marchi vengono imposte le due seguenti limitazioni:

  • l’UIBM può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione;
  • la registrazione del marchio costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l’uso nel commercio del nome stesso, purché quest’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.

La tutela dei marchi collettivi e di certificazione

L’azione di contraffazione contro chiunque utilizzi il marchio senza averne diritto può sempre essere esercitata dal suo titolare. Anche gli utilizzatori possono far valere l’azione di contraffazione se il regolamento lo consente, se sono autorizzati dal titolare oppure se quest’ultimo resti inerte nonostante sia stato messo in mora.

Ciascun utilizzatore può invece agire per ottenere il risarcimento del danno. Allo stesso modo, anche il titolare del marchio può domandare in giudizio il risarcimento del danno per conto degli utilizzatori.

A differenza di quanto avviene per il marchio individuale, la giurisprudenza in materia di marchi collettivi ne ha escluso la protezione contro l’utilizzo per i prodotti o servizi affini a quelli oggetto di registrazione. Tale conclusione è basata sulla diversa funzione dei marchi collettivi rispetto al marchio d’impresa, per i quali non occorre tenere in considerazione il rischio di confusione circa la provenienza imprenditoriale del prodotto (Cass. n. 24620/10). Questa conclusione non viene però condivisa da una parte della dottrina, poiché l’utilizzo di un marchio collettivo per prodotti anche soltanto affini a quelli oggetto di registrazione potrebbe comunque trarre in inganno i consumatori.

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