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Il Copyright applicato alla moda

Il Copyright (o diritto d’autore) nasce come forma di protezione delle opere d’arte: letteratura, pittura, musica etc. Con il tempo, la protezione del diritto d’autore si è però staccata dal concetto di arte e letteratura per arrivare a proteggere qualsiasi opera dell’ingegno dotata di originalità. Non fa eccezione il settore della moda, ove il diritto d’autore trova applicazione, seppure con certi limiti.

Unico requisito affinché un’opera possa ottenere la protezione del Copyright è che essa costituisca espressione della personalità dell’autore, frutto di sue scelte libere e creative. Il livello di originalità richiesto per adire alla tutela autorale è molto basso. Esso inoltre non dovrebbe aver niente a che vedere con il valore artistico. Qualsiasi opera, brutta o bella che sia, è protetta da Copyright quando è il risultato delle scelte creative del suo autore.

Se questo è il principio applicabile alle opere artistiche e letterarie, che dire delle opere del disegno industriale? Si può parlare di Copyright applicato all’industria? E che dire in particolare del  Copyright nella moda? Non vi è dubbio infatti che determinati abiti siano frutto dell’espressione creativa dello stilista. Alcuni di essi sono più opere d’arte che vestiti. Il fatto che siano destinati ad una riproduzione su scala industriale impedisce forse che gli stessi possano essere protetti da Copyright?

La risposta a queste domande è sempre stata oggetto di discussione fra gli studiosi di proprietà intellettuale. Recentemente, la Corte di Giustizia Europea, nella sentenza G-Star vs Cofemel (C683/17), ha posto un ulteriore ed importante tassello in questo dibattito. Ma andiamo per gradi e vediamo come si è evuluta negli anni la protezione del diritto d’autore applicata all’industrial design.

Il criterio della scindibilità

Prima del 2001, in Italia veniva applicato il criterio della c.d. “scindibilità”. La protezione del diritto d’autore per le opere del disegno industriale veniva subordinato al fatto che il loro valore artistico fosse scindibile dal carattere industriale. In pratica, ciò si traduceva nella sistematica esclusione dalla tutela autorale delle opere tridimensionali dell’industrial design, per quanto creative esse fossero. La protezione si limitava in sostanza ai disegni bidimensionali applicati su prodotti industriali, il cui pregio artistico era indipendente ed appunto scindibile dall’aspetto industriale del prodotto.

La tutela dei disegni industriali tridimensionali era pertanto limitata a quella offerta dalla normativa sui disegni e modelli, quando gli stessi fossero nuovi e dotati di carattere individuale.


Sul punto si veda: “Disegni e Modelli: la Protezione nel Settore della Moda“.


La riforma del 2001: applicabilità del diritto d’autore ai disegni industriali

In applicazione della Direttiva Europea 98/71/CE, l’Italia ha riformato l’art. 2 L.d.a., stabilendo che sono protette dal diritto d’autore tutte le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico. Inoltre, è stato precisato che la protezione offerta dalla registrazione di disegni e modelli non è alternativa a quella del diritto d’autore ma può cumularsi con essa. Infine, la giurisprudenza ha precisato che il fatto che un prodotto sia destinato ad essere riprodotto su scala industriale non può escluderne la protezione da parte del Copyright.


Sul punto si veda: “La tutela del diritto d’autore su modelli industriali prodotti in larga scala“.


Il carrattere creativo è un requisito che accomuna tutti i tipi di opere protette da Copyright. Come visto sopra, è dotata di carattere creativo qualsiasi opera che sia espressione della personalità del suo autore. Ma a differenza di quanto avviene per le altre opere, il carattere creativo non è sufficiente ad attribuire la protezione autorale quando si tratta di industrial design. In aggiunta è richiesta anche la presenza di un valore artistico.

Il valore artistico nell’Industrial Design

Che cosa debba intendersi per “valore artistico” di un’opera di disegno industriale la legge non lo stabilisce. L’utilizzo di questo termine apre al rischio che la protezione del diritto d’autore venga subordinata alla sensibilità artistica di un Giudice, al quale resterebbe l’arduo compito di distinguere ciò che è arte da ciò che non lo è.

Per evitare questo rischio, la giurisprudenza ha subordinato il riconoscimento del valore artistico a dei parametri il più possibile oggettivi, come il riconoscimento da parte degli ambienti culturali. Questo requisito si manifesta mediante la pubblicazione su riviste, l’esposizione in mostre e musei, l’attribuzione di premi, gli articoli dei critici, il valore di mercato acquisito, la fama come artista del suo autore etc.

Utilizzando questo criterio, la protezione del diritto d’autore è stata riconosciuta a prestigiose opere di design coma la Chais Longue di Le Corbusier, il letto Nathalie, di Vico Magistretti, la Panton Chair di Verner Panton etc. Più recentemente, le corti italiane hanno riconosciuto il valore artistico degli ormai storici doposci Moon Boot, della Vespa e della Ferrari GTO.

Il diritto d’autore nei disegni bidimensionali applicati a tessuti o prodotti industriali

Secondo un rilevante orientamento (Trib. Milano 25/05/2010, n. 6884), il requisito del valore artistico non sarebbe necessario per i disegni bidimensionali applicati a prodotti industriali, come ad esempio il motivo di un tessuto. Secondo questo orientamento, tali opere rientrerebbero nella definizione di arte figurativa e non di disegni industriali. Di conseguenza, il carattere creativo sarebbe requisito sufficiente ad attribuire la protezione autorale.

Tale opinione si fonda sulla considerazione che la riforma del 2001 era finalizzata ad estendere l’ambito di protezione del diritto d’autore anziché a restringerlo. Richiedere il valore artistico per i disegni bidimensionali, i quali erano proteggibili prima del 2001 applicando il criterio di scindibilità, comporterebbe al contrario un restringimento dell’ambito di protezione.

Il Copyright nella moda: il caso G-Star vs Cofemel

Con sentenza del 12 Settembre 2019 (C683/17), la Corte di Giustizia ha formulato il seguente principio: non è conforme alla Direttiva Europea 2001/29/CE una normativa nazionale che subordini la tutela ai sensi del dirittto d’autore di capi di abbigliamento al rilievo secondo il quale, al di là del loro fine utilitario, essi producano un effetto visivo loro proprio e rilevante da un punto di vista estetico. In questo criptico principio, molti illustri autori hanno visto la fine del requisito del valore artistico [1].

La sentenza della Corte di Giustizia nasce da un rinvio pregiudiziale operato dalla Corte Suprema del Portogallo, in una controversia nella quale la società G-Star contestava la violazione da parte della Cofemel del diritto d’autore su alcuni suoi capi di abbigliamento.

In sostanza, ciò che la Corte sembra voler affermare è che, affinchè un abito possa essere considerato come opera protetta dal diritto d’autore, l’effetto estetico prodotto è irrilevante. Ciò che rileva è che lo stilista abbia effettuato liberamente delle scelte creative, non condizionate dal fine utilitaristico del prodotto. Conseguentemente, la normativa italiana che subordina l’applicabilità del diritto d’autore al riconoscimento del valore artistico da parte degli ambienti culturali dovrebbe ritenersi contraria al diritto dell’Unione.

Le perplessità sollevate dal requisito del valore artistico

L’espediente italiano di subordinare la tutela autorale dei disegni industriali al requisito del valore artistico ha da sempre suscitato diverse perplessità. Una fra tutte: il diritto d’autore nasce con la creazione dell’opera, non è qualcosa che si acquisisce a posteriori. Al contrario, il riconoscimento del valore artistico da parte degli ambienti culturali è qualcosa che si acquista con il tempo e che, in certi casi, si perde. Esso pertanto non può essere un requisito della tutela autorale ma semmai un semplice mezzo di prova dell’esistenza del valore artistico. Prova che però, per le opere appena nate, risulterebbe di fatto impossibile.

Le conseguenze pratiche dell’applicazione del Copyright alla moda

L’introduzione del valore artistico come requisito ulteriore al carattere creativo ha però un obiettivo: limitare un’estensione indiscriminata della protezione autorale nel settore industriale. Il diritto d’autore, a differenza della protezione offerta dalla registrazione di disegni e modelli industriali, ha una durata molto lunga: 70 anni dalla morte dell’autore. Inoltre, il Copyright nasce automaticamente, senza bisogno di alcuna registrazione. Una tutela così estesa e difficile da accertare rischia di creare un freno alla libera concorrenza ed agli investimenti, in quanto è motivo di forte incertezza.

Cosa succederebbe in un settore “affollato” come quello della moda se la protezione autorale venisse applicata a ciascun abito dotato di un minimo carattere creativo, come avviene per qualsiasi opera letteraria o dell’arte figurativa? Per un’impresa lanciare un nuovo vestito o anche semplicemente rivenderlo diverrebbe come camminare sulle uova. La possibilità di copiare qualcosa già fatto in passato, anche da stilisti completamente sconosciuti, diverrebbe estremamente probabile ed ogni investimento comporterebbe un rischio enorme.

Per evitare conseguenze di questo tipo, se dovesse essere eliminato il requisito del valore artistico, la giurisprudenza dovrebbe interpretare in maniera più rigida il carattere creativo. Del resto, ciò è quanto già avviene in altri Paesi europei, dove il requisito del valore artistico non è codificato nella legge ma di fatto applicato dalla giurisprudenza. Presumibilmente, a godere della protezione autorale saranno soltanto abiti di alta moda, creati da stilisti famosi, riconosciuti dalla critica e dal mercato. In sostanza, non si parlerebbe più di valore artistico ma la sostanza resterebbe esattamente la stessa.

Spunti e riflessioni

La sensazione che si ricava dalla lettura della sentenza Cofemel è di profonda incertezza. La Corte di Giustizia si districa nel difficile compito di armonizzare mediante la giurisprudenza un diritto comunitario ancora estremamente frammentato e confuso in materia di Copyright. Il risultato è che, invece che fornire dei chiarimenti, si generano ulteriori ragioni di incertezza e di contenzioso. Piuttosto che incentivare creatività e concorrenza, si pone un freno ad entrambe nel nome di una soltanto teorica protezione della personalità dell’autore.

Oggi più che mai occorre dunque un ripensamento del Copyright a livello europeo, che ponga alla sua base un principio utilitaristico: il diritto d’autore deve avere come fine ultimo la promozione della creatività e della cultura e non rappresentarne un freno. Nel mondo anglosassone, il Copyright non nasce come tutela della personalità dell’autore bensì come incentivo a creare. Si concedono all’autore dei diritti monopolistici sulle sue opere per incentivarlo a creare di più nell’interesse comune. Probabilmente, nell’ambito dell’industrial design non vi è bisogno di questo incentivo. Ciò poiché il mercato e la libera concorrenza sono stimoli sufficienti a promuovere la creazione di design sempre più belli ed accattivanti.

Ovviamente, questo non significa che nell’ambito dell’industria si possa copiare liberamente. Ma per evitarlo esistono già le norme sulla concorrenza sleale e quelle sui disegni e modelli industriali. Di conseguenza, sebbene giuridicamente discutibile, è forse corretta l’interpretazione data dai Tribunali italiani, che restringe l’applicazione del diritto d’autore a modelli industriali che sono prima di tutto delle opere d’arte, come la Chais Longue di Le Corbusier. Soltanto in questi rari e limitati casi, la protezione autorale può essere giustificata come tutela della personalità stessa dell’artista.

[1] Galli Cesare, Addio al valore artistico per le opere dell’industrial design?, in Filodiritto.

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